CORTE DEI CONTI 
           Sezione giurisdizionale regionale per il Lazio 
 
    in  persona  del  giudice  monocratico   Eugenio   Musumeci,   ha
pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio pensionistico iscritto
al n. 76087 del registro di segreteria  della  sezione,  proposto  da
Pensa Mario Brando, nato a  Bonn  (Germania)  il  24  agosto  1939  e
residente a Riano (Roma) in Colleromano n. 48 - via Tiberina  km.  9,
codice  fiscale  PNSMBR39M24Z112D,  rappresentato  e   difeso   dagli
avvocati Maria Vittoria Ferroni e Laura Casella (entrambi del foro di
Roma), nonche' elettivamente domiciliato a Roma in via di San Basilio
n. 61, presso lo studio del primo di tali difensori; 
    Contro  Ministero  degli  affari  esteri  e  della   cooperazione
internazionale  (MAECI),  in  persona  del  ministro   pro   tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  nonche'
domiciliato presso la sede dell'Avvocatura stessa a Roma in  via  dei
Portoghesi n. 12. 
 
                                Fatto 
 
    1. Con ricorso depositato presso questa sezione il 18 aprile 2018
Mario Brando Pensa, funzionario diplomatico collocato a riposo il  1°
settembre 2006 con il grado di ministro  plenipotenziario  dopo  aver
svolto l'ultimo periodo  di  servizio  presso  una  sede  diplomatica
all'estero, ha domandato ai fini  pensionistici  un  piu'  favorevole
computo  dell'indennita'  di  posizione  connessa  a  quel   rapporto
d'impiego.  In  particolare,  secondo  la   prospettazione   attorea,
quell'indennita' andrebbe riconosciuta  dal  Ministero  degli  affari
esteri e della cooperazione internazionale (in  sigla:  MAECI)  nella
maggior misura spettante al «... personale di pari grado  e  funzioni
in  servizio  in  Italia»   (cosi'   le   conclusioni   del   ricorso
introduttivo): cioe' avendo riguardo  alla  posizione  funzionale  di
rango piu' elevato o, in  subordine,  a  quella  di  minor  rango  da
attribuirsi ad un funzionario diplomatico avente il grado di ministro
plenipotenziario che presti servizio  nella  sede  centrale  di  quel
Ministero; o ancora, in via ulteriormente subordinata, nella medesima
misura concretamente percepita dall'odierno ricorrente durante la sua
pregressa assegnazione presso l'amministrazione centrale  antecedente
a quella, in sede estera, che aveva caratterizzato il suo  conclusivo
periodo di servizio. 
    Riguardo a tale domanda, proposta  nel  contraddittorio  sia  del
MAECI  che  dell'INPS  entrambi  costituitisi,   con   sentenza   non
definitiva n. 644/2019,  pronunciata  contestualmente  alla  presente
ordinanza e da intendersi  qui  integralmente  richiamata,  e'  stata
rigettata una preliminare eccezione di decadenza sollevata dal  MAECI
ai sensi dell'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
639/1970; ed e' stato altresi' dichiarato ex officio  il  difetto  di
legittimazione passiva dell'INPS sulla pretesa attorea. Inoltre,  con
la presente ordinanza,  l'odierno  giudizio  e'  stato  vagliato  nel
merito. 
 
                               Diritto 
 
    2. Nella materia delle pensioni  a  carico  dello  Stato  riveste
carattere fondamentale il principio di cui al primo  comma  dell'art.
43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973: a  mente
del quale, «ai fini della determinazione della misura del trattamento
di quiescenza  dei  dipendenti  civili,  la  base  pensionabile  [e']
costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima  paga  o  retribuzione
...». Quindi tale norma rende necessario individuare, concettualmente
prima  ancora   che   materialmente,   il   trattamento   retributivo
nell'esatto momento in cui si concluda un dato rapporto d'impiego. 
    3. Peraltro sul  piano  retributivo,  con  riguardo  al  caso  di
specie, il primo comma dell'art. 170 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 18/1967 sancisce che «il personale dell'amministrazione
degli affari esteri, oltre allo stipendio e agli assegni di carattere
fisso e continuativo previsti  per  l'interno,  compresa  l'eventuale
indennita' o retribuzione di posizione nella misura  minima  prevista
dalle disposizioni applicabili,  tranne  che  per  tali  assegni  sia
diversamente disposto, percepisce, quando e' in  servizio  presso  le
rappresentanze  diplomatiche  e  gli  uffici   consolari   di   prima
categoria, l'indennita' di  servizio  all'estero,  stabilita  per  il
posto di organico che occupa ...». 
    Tuttavia  si  vedra'  in  prosieguo  come   quella   che,   nella
fattispecie, il MAECI ha computato ai fini pensionistici non coincida
con la retribuzione dell'ultimo periodo di servizio svolto all'estero
dall'odierno ricorrente. Soprattutto, pero', tale operato  del  MAECI
stesso sottende un concetto di «ultima retribuzione» che comporta una
palese sperequazione tra funzionari  diplomatici  di  pari  grado:  i
quali invece, nell'esatto  momento  in  cui  cessano  dal  rispettivo
servizio, concettualmente devono veder pienamente equiparato tra loro
il trattamento retributivo e, quindi, quello pensionistico.  Infatti,
allo spirare del rapporto  d'impiego,  ovviamente  perde  rilievo  la
pregressa  circostanza  secondo  cui  l'un  funzionario   diplomatico
risultasse assegnato presso la sede centrale  del  MAECI  e  l'altro,
invece, ad un qualsiasi ufficio all'estero. 
    4.   Invero   l'indennita'   di    posizione    e'    determinata
contrattualmente con riguardo  alle  funzioni  rivestite  da  ciascun
appartenente  alla  carriera  diplomatica:  le  quali  sono  altresi'
connesse al grado rivestito da quel medesimo soggetto  ai  sensi  del
secondo  comma  dell'art.  101  del  gia'  richiamato   decreto   del
Presidente della Repubblica n. 18/1967, ferma restando  l'unitarieta'
del ruolo sancita dal primo comma di quel medesimo articolo. 
    Nel caso di specie nel 2000 il Pensa  era  stato  assegnato  alle
dirette dipendenze del direttore generale  per  gli  affari  politici
multilaterali e i diritti umani; mentre  nel  2002  gli  erano  state
conferite le funzioni di  capo  della  rappresentanza  diplomatica  a
L'Aia, da lui poi svolte sino alla data del 1° settembre 2006 in  cui
era stato collocato a riposo (pag. 2 del ricorso, senza contestazioni
del MAECI). 
    Quindi, in  riferimento  al  grado  da  lui  rivestito  a  quella
medesima data, e' agevole identificare, tra le funzioni da  svolgersi
presso  l'amministrazione  centrale  ex  art.  16  del  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 18/1967 nel testo vigente alla data di
collocamento a riposo dell'odierno ricorrente, quelle piu' elevate  e
quelle meno rilevanti. E tali funzioni, in virtu' dell'art. 7,  comma
1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 94/2008 recante  il
trattamento economico del personale  diplomatico  a  quella  medesima
data  di  collocamento  a  riposo  dell'odierno   ricorrente,   anche
nell'ipotesi a lui meno favorevole avrebbero comportato il ripristino
di un'indennita' di  posizione  di  entita'  maggiore  rispetto  alla
misura minima attribuitagli durante il pregresso servizio all'estero. 
    5.  Reputa  questo  giudice  che  tale  rilevante   sperequazione
concettuale,  prima  ancora  che  quantitativa,  tra  un  funzionario
diplomatico che abbia svolto a Roma  l'ultima  tranche  del  servizio
presso il MAECI ed uno che, invece, abbia lavorato in una sede estera
durante quel medesimo segmento temporale,  non  sia  concepibile  che
permanga nel momento in cui cessino le funzioni esercitate, in Italia
o all'estero, da qualsiasi appartenente  alla  carriera  diplomatica:
ossia allorquando questi conserva esclusivamente il grado rivestito. 
    Invero  l'esclusivo  riferimento  al  grado  connota   anche   il
trattamento pensionistico del personale  militare:  i  cui  ufficiali
notoriamente non vengono collocati  a  riposo  con  la  qualifica  di
direttore dell'ufficio X presso il Ministero della difesa,  piuttosto
che di comandante della divisione Y; bensi',  semplicemente,  con  il
grado per esempio di generale di  corpo  d'armata  piuttosto  che  di
colonnello. Oltretutto e' assai frequente per essi la c.d. promozione
alla vigilia, la  quale  ha  riflessi  essenzialmente  pensionistici,
oltreche' in tema di indennita' di buonuscita;  mentre  nel  caso  di
specie si  assiste  ad  un  fenomeno  diametralmente  inverso,  ossia
l'ancoraggio della pensione ad un trattamento retributivo  fatalmente
transitorio,  vista  l'inevitabile  altalenanza  tra  svolgimento  di
funzioni all'estero o  invece  in  sede  centrale,  anziche'  ad  una
costante remunerazione normale  pertinente  esclusivamente  al  grado
rivestito. 
    6. Sul piano letterale appare poi evidente come la misura normale
dell'indennita'  di  posizione  coincida  con   quella   goduta   dal
funzionario diplomatico che presti servizio in Italia. Depone in  tal
senso sia il primo comma del gia' richiamato art.  170,  laddove  nel
caso di servizio all'estero quell'indennita' si  considera  spettante
nella «... misura minima  ...»,  anziche'  in  quella  base;  sia  la
normativa  di  matrice  negoziale,  tra  cui  per  esempio  il   gia'
menzionato  art.  7,  comma  1,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 94/2008: che, per il funzionario diplomatico che presti
servizio in Italia, richiama «... le  misure  della  retribuzione  di
posizione ...» senza aggettivi di sorta. Talche'  logica  vuole  che,
nel momento in cui le  funzioni  all'estero  cessano  in  virtu'  del
collocamento   a   riposo,   l'indennita'    di    posizione    venga
automaticamente ripristinata, sia pur ai soli fini del trattamento di
quiescenza, nella misura ordinariamente pertinente al grado posseduto
da quel dato funzionario diplomatico; nonche' alle funzioni  che,  in
base al grado  stesso,  sarebbero  state  a  lui  conferibili  presso
l'amministrazione centrale, ove fosse rimasto in servizio. 
    7. Inoltre la tesi secondo cui il menzionato art. 170 del decreto
del  Presidente  della  Repubblica  n.   18/1967   consentirebbe   di
ripristinare,   ai   fini   pensionistici,   la   misura   «italiana»
dell'indennita' di posizione appare indirettamente  confortata  dalla
lettera a del comma 1 dell'art. 1-bis del decreto-legge n.  138/2011,
convertito dalla legge n. 148/2011: che va  ad  interpretare  in  via
autentica l'art. 170 stesso nel senso di escludere  che  l'indennita'
integrativa speciale  spetti  al  dipendente  del  MAECI  che  presti
servizio all'estero. 
    Infatti,  non  essendo  stato  contestato  ex  adverso  l'assunto
attoreo  secondo  cui  quest'ultima   indennita'   risulti   comunque
computata ai fini pensionistici (pag. 18 del  ricorso  introduttivo),
evidentemente cio' avviene  perche'  il  combinato  disposto  tra  il
principio generale di cui all'art.  43  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 1092/1973 e la  norma  di  dettaglio  di  cui  al
predetto art. 170 viene applicato dal  MAECI  in  maniera  antitetico
rispetto a quanto avviene  per  l'indennita'  di  posizione.  Percio'
appare  conforme  al  principio   di   eguaglianza   sostanziale   la
conseguenza secondo  cui  pure  quest'ultima  componente  retributiva
torni  coerentemente  ad   espandersi   alla   misura   normale,   in
concomitanza  con  il   collocamento   a   riposo   del   funzionario
diplomatico, rispetto alla misura minima a lui applicata  durante  il
servizio all'estero. 
    8. Invece, ad avviso del MAECI, il primo  comma  del  piu'  volte
richiamato art. 170 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
18/1967 legittimerebbe il computo, nei trattamento pensionistico, del
medesimo  importo  di  indennita'  di  posizione  fruito  da  ciascun
funzionario diplomatico anteriormente al  rispettivo  collocamento  a
riposo. Ma in realta', sul piano squisitamente testuale, quella norma
ha soltanto l'effetto di  limitare  alla  misura  minima  il  quantum
dell'indennita' di posizione  spettante  al  funzionario  diplomatico
fintantoche' presti servizio all'estero. 
    Destituita  di  fondamento  e'  anche  la  tesi  secondo  cui  la
sperequazione pensionistica in commento risulterebbe controbilanciata
dalla percezione dell'indennita' di servizio  all'estero:  la  quale,
invece,  e'  circoscritta  esclusivamente  al  periodo  in   cui   il
funzionario diplomatico  presti  servizio  presso  una  sede  estera;
mentre e' rimasta totalmente indimostrata  la  contraria  allegazione
del MAECI secondo cui quest'ultima indennita' verrebbe conservata nel
trattamento di quiescenza. In realta' quella pubblica amministrazione
sembra  aver  operato  un'evidente  commistione   fra   la   parziale
imponibilita' fiscale dell'indennita' de qua,  sancita  dal  comma  8
dell'art. 51 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986,
ed il suo inesistente computo ai fini  pensionistici.  D'altronde  la
conclusione secondo cui a detti fini non venga computata l'indennita'
di servizio all'estero discende dalla circostanza  secondo  cui  essa
«... non ha natura retributiva essendo  destinata  a  sopperire  agli
oneri derivanti dal servizio all'estero  ...»,  oltre  a  tener  «...
conto della peculiarita' della prestazione lavorativa all'estero ...»
(art. 171, primo comma, del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 18/1967). E va da se' come, altrimenti, assurdamente  le  funzioni
diplomatiche  svolte  dall'odierno  ricorrente  si  considererebbero'
protratte oltre la data di collocamento a riposo. 
    Palesemente fallace e'  altresi'  la  vaga  obiezione  del  MAECI
secondo cui, nel caso di specie, l'eventuale computo  dell'indennita'
di posizione in  misura  eccedente  quella  minima  non  risulterebbe
preceduto  da  alcuna  contribuzione  previdenziale:   in   contrario
bastando considerare l'eventualita' in cui l'odierno  ricorrente,  al
pari di  qualsiasi  altro  suo  collega,  fosse  tornato  a  prestare
servizio a Roma per esempio un mese prima del proprio collocamento  a
riposo. Ne' il MAECI ha minimamente  chiarito  quanto  ampio  dovesse
essere nel caso di specie lo iato temporale, tra il rientro presso la
sede centrale e quel collocamento a riposo, perche'  l'indennita'  di
posizione venisse concretamente computata ai  fini  pensionistici  in
misura maggiore di quella minima. 
    9. In virtu'  delle  molteplici  considerazioni  fin  qui  svolte
questo giudice, in una precedente pronuncia resa su  una  fattispecie
identica a quella per cui e' lite  (sezione  Lombardia,  sentenza  n.
53/2016, ripetutamente invocata anche dall'odierno  ricorrente),  era
pervenuto  ad  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  del
primo comma dell'art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 18/1967: reputando, dunque, che la misura minima ivi  sancita  per
l'indennita' di posizione valesse esclusivamente durante  il  periodo
di servizio all'estero del personale diplomatico. E che,  invece,  il
trattamento pensionistico andasse determinato sulla base della fictio
iuris  costituita  da  un  rientro  a  Roma  del  diplomatico  stesso
esattamente in coincidenza con il  suo  collocamento  a  riposo:  con
conseguente attribuzione, ai soli fini pensionistici, del complessivo
trattamento economico a cui  egli  avrebbe  avuto  diritto  prestando
servizio, a quella medesima epoca, presso la sede centrale. 
    Tuttavia tale linea interpretativa appare  oggi  frustrata  dagli
unici due precedenti giurisprudenziali che, a causa di dubbi in  tema
di giurisdizione inizialmente nutriti dal  giudice  contabile  e  poi
fugati dalla Suprema Corte grazie alle ordinanze numeri 14795 e 14796
emesse nel 2016, appaiono rinvenibili in punto di  merito:  ossia  la
sentenza n. 112/2017 della seconda sezione  giurisdizionale  centrale
d'appello, mediante la quale  e'  stata  integralmente  riformata  la
poc'anzi richiamata pronuncia n. 53/2016, e la sentenza  n.  244/2015
di questa sezione. In ambedue tali decisioni il  rigetto  di  domande
analoghe a quella odierna e' stato motivato con un laconico  richiamo
alla normativa generale, a cominciare dall'art. 43  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 1092/1973: norma  che  pero'  ai  fini
pensionistici, se non osta  al  computo  dell'indennita'  integrativa
speciale seppur non percepita durante il servizio all'estero, men che
meno  puo'  precludere,  al  funzionario  diplomatico  che  fino   al
rispettivo  collocamento  a  riposo  abbia  lavorato  all'estero,  il
computo dell'indennita' di posizione  nell'identica  misura  prevista
per un collega che,  fino  a  quel  medesimo  momento,  abbia  invece
prestato servizio a Roma presso la sede centrale del MAECI. 
    Nondimeno  deve  qui  prendersi   atto   di   tale   orientamento
giurisprudenziale,  anche  perche'  affermato  in  grado   d'appello.
Percio'  risulta  inevitabile  sollevare  dinanzi  alla  consulta  la
questione di legittimita' costituzionale del combinato  disposto  del
primo comma dell'art. 43 del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 1092/1973  e  dell'art.  170  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 18/1967, per contrasto con il secondo comma dell'art. 3
della Costituzione: perche'  nel  loro  insieme  tali  norme  vengono
interpretate dalla giurisprudenza contabile nel  senso  di  prevedere
che,  nei  confronti  del   soggetto   appartenente   alla   carriera
diplomatica il quale alla  data  di  collocamento  a  riposo  risulti
assegnato ad una sede di servizio all'estero, ai  fini  pensionistici
l'indennita' di posizione venga computata soltanto nella «...  misura
minima prevista dalle  disposizioni  applicabili  ...»,  anziche'  in
misura correlata al grado rivestito da quel medesimo soggetto e  alle
funzioni a lui conferibili avuto riguardo al grado stesso. 
    10. Inoltre quel medesimo combinato disposto di tali  due  norme,
sempre nell'accezione attribuita  ad  esso  dalla  giurisprudenza  di
questa Corte,  sembra  collidere  anche  con  il  principio  di  buon
andamento sancito dal secondo comma dell'art. 97 della Costituzione. 
    Invero la linea interpretativa qui censurata puo'  verosimilmente
indurre un dato funzionario diplomatico, qualora gli venga comunicata
l'assegnazione ad una sede estera allorquando abbia gia'  maturato  i
requisiti  pensionistici,  ad  optare  per   il   proprio   immediato
collocamento a riposo: cio' al fine di  veder  calcolate  secondo  la
misura normale dell'indennita' di posizione tanto la pensione  quanto
la buonuscita, piuttosto che rischiare di veder penalizzate  entrambe
nel caso in cui  quella  sede  estera  si  rivelasse  l'ultima  della
propria carriera. Inoltre, quand'anche quel  funzionario  diplomatico
decidesse  di  permanere  in   servizio   presso   la   sede   estera
assegnatagli, l'interpretazione qui avversata  rivestirebbe  comunque
conseguenze  contrastanti  con  quel  medesimo  principio   di   buon
andamento: atteso che, avuto riguardo al limite massimo di permanenza
in servizio, verrebbe radicato in lui un indubbio interesse personale
a  rientrare  in  sede  centrale  anteriormente  a  quella  data,  in
potenziale contrasto con l'incondizionata  protrazione  del  servizio
all'estero. 
    11. Cosi evidenziata la non manifesta infondatezza della  duplice
questione di legittimita' costituzionale fin qui prospettata, la  sua
rilevanza risulta  palese:  perche',  altrimenti,  l'odierna  domanda
attorea andrebbe senz'altro rigettata: al pari di quanto avvenuto nel
caso  dei  precedenti  giurisprudenziali   poc'anzi   richiamati   ed
avversati. Mentre  soltanto  la  fondatezza  della  questione  stessa
potrebbe rendere accoglibile quella domanda, nella sua prospettazione
principale o in una di quelle subordinate, dopo aver  vagliato  anche
la non assorbente eccezione di prescrizione.